CHE COS'E' L'ANTROPOLOGIA MUSICALE.
di Gianmarco Picuzzi
Abstract
Origine e definizione di "antropologia musicale".
LE ORIGINI DELL'ANTROPOLOGIA MUSICALE.
Per tracciare il cammino dell'antropologia musicale occorre analizzare
per prima cosa quell'area di studi che nacque intorno ai primi del
Novecento e che prese il nome di musicologia comparata.
Una serie di studiosi della cosiddetta "Scuola di Berlino" (Hornbostel,
Abraham, Stumpf, Sachs ecc.) tentarono di individuare, sulla base di
concezioni evoluzionistiche e diffusionistiche allora in voga, le
costanti e le fasi evolutive universali della musica.
L'ipotesi era che i fenomeni musicali si fossero sviluppati da forme
più elementari e indifferenziate a forme più complesse,
secondo una successione di stadi analoga a quella teorizzata da Darwin
per le specie biologiche e ripresa dagli evoluzionisti per le
società umane.
Con la pretesa di considerare il suono musicale come un sistema chiuso,
funzionante secondo leggi proprie, essi intrapresero una ricerca sulle
origini remote della musica, legittimata nell'ambito dell'evoluzione
sociale, a cui si aggiungeva una ricerca, altrettanto intensa, sulle
origini specifiche in determinate aree geografiche.
Nacquero così, a cavallo fra i due secoli, numerosi archivi
sonori che presto diventarono non solo luogo di raccolta di migliaia di
cilindri di Edison registrati in tutte le parti del mondo, ma anche la
sede di numerosi ricercatori che, basandosi principalmente sull'analisi
delle altezze, delle melodie e dei sistemi di accordatura, sulla misura
delle scale e degli strumenti, analizzavano soprattutto iprocessi
mentali implicati dalla musica.
In questa direzione, un fondamentale apporto alla Scuola viene dal
musicologo Curt Sachs che elabora, assieme a Erich von Hornbostel, la
prima sistematica e universale classificazione degli strumenti musicali
(1914); in seguito, poi, nella sua ricca produzione, egli
cercherà di sviluppare una teoria e una storia dell'evoluzione
musicale.
Come ha sottolineato Diego Carpitella, illustre etnomusicologo italiano:
il metodo di Sachs era, allora, e per lungo tempo rimase, quello di
rilevare un tratto caratteristico di una musica (il ritmo, il tempo
ecc.) e di generarizzarlo in varie zone e aree etniche. (18)
Il limite maggiore del comparativismo musicale risultò essere
probabilmente il fatto di privilegiare sostanzialmente un metodo
deduttivo.
Questi studiosi cercavano nei fatti la conferma a una teoria a priori
della musica e, in questa impostazione esclusivamente storico-musicale,
la comparazione "a tavolino" prevale nettamente rispetto alla ricerca
sul campo.
Già in quegli anni, comunque, alcuni ricercatori, fra cui
Andrè Schaeffner, capostipite dell'etnomusicologia francese, e
il compositore e ricercatore unngherese Bèla Bartòk
compirono alcuni studi in una prospettiva che, se da un lato era ancora
di tipo comparativo e storico-evoluzionista, dal'altro presentava
caratteri del tutto originali e autonomi.
Schaeffner, nel suo lavoro intitolato Origine des instruments de la
musique (1936), oltre a criticare le tesi e la classificazione
"organologica" di Sachs e Hornbostel, fornisce una delle prime
interpretazioni etnomusicologiche prima che musicologiche: per
Schaeffner, infatti, gli strumenti musicali sono anzitutto dei "segni"
che rinviano al sistema di pensiero, alle credenze e alle tecnologie
dello specifico contesto culturale.
In tale impostazione Schaeffner rivela una perfetta consonanza con le
direttrici di pensiero della "Scuola sociologica francese" (Durkheim,
Levì-Bruhl, Mauss).
In particolare Marcel Mauss si era fatto portavoce di un concetto di
cultura intesa come "fatto sociale totale", per cui nessun fenomeno
può essere compreso se non viene ricollocato nel suo spazio
sociale.
Con l'applicazione di questa concezione allo studio degli strumenti
musicali, egli introduce l'analisi dei fatti musicali in una dimensione
antropologica che da allora in poi caratterizzerà la scuola
etnomusicologica francese.
In quel periodo una critica all'impostazione originaria della Scuola di
Berlino arrivò anche dal compositore-ricercatore dell'Europa
dell'est Bèla Bartòk.
Con la sua opera di ricerca "sul campo", incredibilmente vasta,
Bartòk é prima di tutto un instancabile raccoglitore e
trascrittore di musica popolare (11.000 melodie: ungheresi, rumene,
slovacche, bulgare, turche, arabe, ecc.). Il suo maggior contributo
teorico é forse quello di aver sostenuto l'inscindibilità
fra ricerca sul campo e analisi genaralizzante a tavolino, anteponendo
la descrizione alla comparazione.
Il termine "musicologia comparata" permane come definizione degli studi
etnomusicali fino agli anni Cinquanta, anche se le teorie e i metodi di
studio della Scuola di Berlino cominiciarono, già a partire
dagli anni Trenta, ad avere un lento e progressivo declino.
Sotto l'influenza del funzionalismo antropologico, che contrapponeva a
uno studio "diacronico", proprio dell'evoluzionismo e del
diffusionismo, un'osservazione "sincronica" dei fatti culturali,
considerati nelle loro relazioni sistemiche all'interno delle diverse
società, nascono sempre più ricerche "sul campo" e studi
sistematici sulle diverse culture musicali.
Torna alla ribalta il problema degli universali in musica, questa volta
non più affrontato, come agli inizi del secolo, sulla base di
concezioni aprioristiche, ma sulla scorta dei dati empirici forniti
dalle ricerche sul campo.
Compare così per la prima volta in un opuscolo di J.Kunst (1950)
il termine "ethno-musicology", che riscosse un consenso così
grande da portare alla creazione della "Society for Ethnomusicology"
negli Stati Uniti.
Come osserva Merriam (19): "qualcosa deve essere cambiato nella mente
delle persone coinvolte nella disciplina, per richiedere una
trasformazione della sua denominazione".
In effetti, in questo periodo si affermano con decisione due nozioni
che saranno alla base degli sviluppi successivi della disciplina:
quelle di "sistema musicale" e di "cultura musicale".
La nozione di "sistema musicale" riguarda le regole e le relazioni che
connotano, in tutto o in parte, un determinato "linguaggio" musicale.
Si potrà così parlare di sistema pentatonico, ma anche di
sistema musicale cinese o di micro-sistema musicale sardo.
La nozione di "cultura musicale" rinvia invece alle relazioni, alle
funzioni e ai tratti che permettono di riconoscere un determinato
sistema musicale come proprio di una data cultura; in altri termini,
che consentono di identificare forme e comportamenti musicali come
specifici di una determinata società.
Influenzati sempre più dall' antropologia americana, gli
studiosi incominciarono ad analizzare la musica nel suo contesto
etnologico; non si sottolineavano più tanto le componenti
strutturali del "sistema musicale" quanto il ruolo della musica nella
cultura e delle sue funzioni nell'ambito dell'organizzazione sociale e
culturale.
E' proprio sulla scia di questo nuovo approccio che, solo a pochi
decenni dalla diffusione generalizzata del termine "etnomusicologia",
si fa strada, a partire dagli anni Sessanta, una nuova concezione e
definizione del campo di studi: quella di antropologia della musica.
Sempre più in contrasto con le concezioni tradizionali che
ponevano l'accento sul "dove", piuttosto che sul "come" e sul
"perché", questi nuovi studi si allontanano dall'approccio
musicologico formalista che si basa sul presupposto che sia possibile
svelare le regole di un determinato sistema musicale limitando
l'ananalisi ai soli materiali sonori.
Ma la maggior critica degli antropologi della musica agli
etnomusicologi formalisti riguarda il fatto che questi ultimi,
considerando i sistemi musicali come insiemi autoregolati e fini a se
stessi, perdono completamente di vista i movimenti dell'espressione
musicale, ovvero la dinamica sociale e culturale in cui la musica si
iscrive e di cui non è che una delle procedure di
formalizzazione e di relazione.
L'antropologia della musica é legata, nel nome e nelle
principali enunciazioni teoriche, all'opera dell'americano Alan P.
Merriam, secondo il quale l'antropologia della musica può essere
definita: "lo studio della musica nella cultura". Inoltre,per Merriam
é fondamentale la conoscenza delle categorie di pensiero e delle
valutazioni dei diretti produttori della musica, senza cui egli dice:"
l'analisi stessa viene invalidata". (20)
Nella prospettiva, tracciata da Merriam, di spiegare approfonditamente
i fatti musicali attraverso le categorie di pensiero dei diretti
protagonisti, comincia a muoversi una serie di ricercatori, fra cui ad
esempio l'africano J.H. Kwabena Nketia, l'europeo Hugo Zemp,
l'americano Paul Berliner.
Fra i convinti sostenitori di un approccio antropologico alla musica si
situano inoltre l'americano Steve Feld e il britannico John Blacking.
Quest'ultimo é fra più grandi sostenitori della
priorità dell'analisi comportamentale su quella formale ai fini
di una comprensione della musica.
Ma vediamo ora di delineare le principali caratteristiche di questa nuova disciplina.
CHE COS'E' L'ANTROPOLOGIA MUSICALE.
La definizione di Merriam, sebbene chiara e concisa, necessita di
essere spiegata affinché si possano comprendere appieno le sue
implicazioni.
La prima consiste nel fatto che l'antropologia musicale considera la
musica il risultato di comportamenti umani la cui forma é
derminata dai valori, dagli usi e dalle credenze di un popolo.
Essa é per prima cosa un prodotto dell'uomo avente una sua
struttura la quale, però, non può venire separata dal
comportamento che la produce. Questo significa che per capire
perhé una certa struttura musicale abbia assunto una determinata
forma occorre comprendere, per prima cosa, la cultura che sta alla base
di quei comportamenti capaci di generare quella particolare forma del
suono.
Nella musica quindi, come nelle altre arti, i valori, le norme sociali,
i modi di essere di una cultura vengono presentati nella loro forma
più diretta ed essenziale; in questo senso la musica é
simbolica e riflette l'organizzazione generale della società.
Questo non significa dire che data una musica si possa, attraverso un
miracoloso logaritmo, ricavare la struttura sociale del gruppo umano
che la produce o, viceversa, date le connotazioni di un gruppo umano si
possa risalire ai suoi modelli musicali, ma significa riconoscere che
la musica é prodotta da alcuni individui per altri individui,
all'interno di un determinato contesto sociale e culturale.
Essa costituisce un fenomeno umano unico che si giustifica solo in
termini di interazione sociale, nel senso che é composta ed
eseguita da alcuni uomini per altri uomini.
La musica, dice Merriam:
non può esistere per sé ed in sé. Ci saranno
sempre esseri umani che si comporteranno in un determinato modo al fine
di produrla.
In breve, la musica non può essere definita soltanto come
fenomeno sonoro, poichè presuppone il
comportamento di uno o più individui. (21)
Il suono musicale viene dunque visto come il prodotto di un comportamento specifico.
Gli antropologi della musica ritengono che questo comportamento specifico possa essere di tre tipi.
Il primo é il comportamento fisico: cioé le posture del
corpo e l'uso dei muscoli per muovere le dita su una tastiera, far
vibrare le corde vocali, muovere il diaframma.
Gli studiosi ritengono che la concettualizzazione, l'ideazione o il
comportamento culturale presuppongano un modo di concepire la musica
che può essere tradotto in comportamento fisico per la
produzione del suono.
Il secondo tipo è il comportamento sociale, suddiviso in
comportamento del musicista e del non-musicista. Si osserverà
allora che alcuni individui si comportano in un determinato modo solo
perché sono musicisti e perché la società ha
standardizzato il loro comportamento sia emotivo che fisico.
Tutti questi aspetti fanno parte dello studio dell'antropologia
musicale ma possono essere anche oggetto di indagine per gli studiosi
delle società: "la musica", scrive Merriam, "é legata al
resto della cultura; con essa si dà forma, si indirizzano e si
rafforzano i comportamenti sociali, politici, linguistici, religiosi,
ecc.".(22)
Il terzo tipo é il comportamento verbale che concerne i costrutti linguistici legati al sistema musicale.
Dunque, il suono musicale é prodotto dal comportamento; non
esiste suono che ne prescinda. Ma il comportamento costituisce anche il
fondamento della concettualizzazione della musica nel senso che, per
operare all'interno di un sistema musicale, l'individuo dovrà
avere coscienza del tipo di comportamento che può produrre il
suono desiderato.
Questi concetti non si riferiscono solo al comportamento fisico,
sociale, verbale, ma anche a ciò che la musica é o
dovrebbe essere. Quindi diventa importante conoscere la distinzione tra
musica e rumore; sapere cioè cosa differenzia la musica da un
qualunque suono che non viene ritenuto tale.
E' importante capire cosa fa sì che un musicista venga ritenuto
un buon musicista e cosa rende un canto più coinvolgente di un
altro. Senza una concezione della musica non si possono quindi produrre
quei comportamenti che sono necessari alla produzione del suono
musicale.
Ma a questo punto l'antropologo si imbatte nei valori musicali,
cioé quei valori propri di ogni cultura che funzionano come una
specie di filtro applicato alla produzione musicale e che permette al
prodotto finale di essere accettato e ritenuto musica dalla
comunità.
L'ascoltatore valuta la competenza dell'esecutore e la correttezza
dell'esecuzione a partire dai propri valori. Quando il giudizio
dell'ascoltatore é favorevole i concetti sulla musica acquistano
ulteriore forza; in caso contrario essi vengono modificati, al fine di
aggiustare il comportamento e produrre così una musica diversa
che più si confà ai nuovi concetti.
C'é in questo modo un costante "feedback" dal prodotto musicale al concetto che produce il comportamento.
Un'altra implicazione deriva dal fatto che, studiando la musica secondo
questo approccio, gli antropologi sono costretti sempre più a
tenere uniti i metodi e le tecniche delle scienze con gli studi
umanistici. E' infatti solo attraverso questi studi che si possono
comprendere aspetti come la valutazione che l'uomo dà della
propria esperienza esistenziale, i giudizi e le interpretazioni delle
proprie azioni, le proprie aspirazioni e i propri valori, tutti
elementi fondamentali che contribuiscono a definire la cultura di un
popolo.
La conclusione é inevitabile: l'antropologo musicale
dovrà sviluppare un confronto continuo tra le scienze sociali,
da un lato, e gli studi umanistici, dall'altro.
Però, il lavoro dell'antropologo rimane pur sempre di tipo
scientifico: lo studioso non va alla ricerca dell'esperienza estetica
in sè, ma cerca di capirne il significato basandosi sull'analisi
del comportamento umano. Cerca di comprendere questo prodotto artistico
quale é la musica, svelando il comportamento che l'uomo adotta
per produrlo, le idee e le emozioni che stanno nella mente dell'artista.
Sicuramente, le finalità di questa disciplina sono più scientifiche che umanistiche, mentre l'oggetto di studio ha forse una natura più umanistica.
segue: Il comportamento sociale: il musicista
Note
copiare note da 17 a 22
Bibliografia
vedi apposito capitolo
Sitografia ragionata
a...presto!