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PER UNA "LINEA SIMBOLICA" DELL'ARTE
(NELLA TRADIZIONE DEL SACRO)

Varga - Linea simBOLICA

di Miklos N. Varga

Abstract
In questo capitolo...


PER UNA "LINEA SIMBOLICA" DELL'ARTE
(NELLA TRADIZIONE DEL SACRO)

L'uomo moderno non si rende conto di quanto il suo "razionalismo" che ha distrutto le sue capacità di rispondere ai simboli ed alle idee soprannaturali), lo abbia posto alla mercè del mondo sotterraneo della psiche. Egli si è liberato (o crede di essersi liberato) dalla "superstizione", ma in questo processo egli è venuto perdendo i suoi valori spirituali in misura profondamente pericolosa. La sua tradizione morale e spirituale si è disintegrata, ed ora egli paga lo scotto di questo suo naufragio nel disorientamento e nella dissociazione generali.
[...]
Le nostre nozioni attuali sul conto dell'inconscio dimostrano che esso costituisce un fenomeno naturale e che, come la stessa Natura, anch'esso è per lo meno neutrale. Esso contiene tutti gli aspetti della natura umana - luce e oscurità, bello e brutto, buono e cattivo, profondità e vacua superficialità -. Lo studio del simbolismo individuale e collettivo costituisce un compito enorme che non è mai stato dominato. Tuttavia ci si è finalmente incamminati ad assolverlo. I primi risultati sono incoraggianti e sembrano indicare una risposta per molte questioni fino ad oggi irrisolte dall'umanità contemporanea.
Carl G. Jung



Le definizioni, in campo artistico, non sono mai esaurienti; tuttavia possono essere funzionali all'approccio discorsivo, muovendoci sulle tracce di quegli accadimenti "esemplari" che, in ogni epoca, forniscono una legittimazione simbolica alle concezioni esistenziali dell'uomo. Definizioni possibili, mai accertate come oggetti del reale, semmai assunte come parabole del pensiero visivo: simbologie e allegorie spesso di antica estrazione mitologica, oppure sublimazioni di messaggi "personificati" che di volta in volta mutano sembianze e significati nel tentativo di voler rispondere ad ogni domanda nella pluralità delle credenze e delle idee, cercando con la ragione di razionalizzare l'irrazionalità dell'immaginario.

Qui niente è divisibile: il bello convive con il brutto, il bene con il male, il sacro con il profano. Così arriviamo alle parabole del pensare nel vedere, riconducendo il discorso alle origini del fare nel pensare, fra opposti atteggiamenti mentali che riflettono altrettanti "modi di vivere", cioè di sublimarsi di fronte al "mistero" della vita e al "meraviglioso" dell'esperienza conoscitiva.

Ora, se l'uomo è fatto a immagine di Dio (è come Dio, ma non è Dio), secondo la definizione biblica, ne deriva che le immagini dell'uomo tendono alla "verosimiglianza" divina, ricreando al momento il movimento dell'essere fra rinuncia e accettazione del contingente. E' il dramma del vivere a permeare lo spirito creativo dell'uomo, proiettando luci cangianti e ombre paraboliche che riverberano nelle immagini, simultaneamente, l'ottimismo della memoria trascendente e il pessimismo della ragione immanente.

E' la concezione cristiana degli opposti, del dualismo di anima e di corpo, della sublimazione nella rinuncia al "principio di piacere". Di qui la divisione categoriale del sacro e del profano, fra il potere spirituale e quello temporale, in quanto distacco per senso di colpa (siamo colpevoli finché viviamo...) dell'umano dal divino.

Ma è anche una "fuga dal mondo", alla ricerca di una realtà "altra", questo rifuggire dalle condizioni "naturali" della quotidianità. Alternativa di significati fluttuanti nello sguardo della coscienza visionaria... Così passiamo dalla "sublimazione cumulativa" alla "colpa cumulativa" secondo la concezione psicanalitica della storia di Norman O. Brown: "Per capire la nostra attuale difficoltà, dobbiamo risalire alle sue origini, agli inizi della civiltà occidentale e ai greci, che ci hanno insegnato e ancora ci insegnano a sublimare, che adoravano il dio della sublimazione, Apollo.

Apollo è il dio della forma, della forma plastica in arte, della forma razionale nel pensiero e della forma civilizzata nella vita. Ma la forma apollinea è forma in quanto negazione degli istinti: 'Niente di troppo' ammonisce la saggezza delfica 'osserva il limite, temi l'autorità, inchinati di fronte al divino'. Quindi la forma apollinea è una forma che nega la materia, una forma immortale e dunque, per l'ironia che colpisce ogni fuga dalla morte, una forma mortale. (...) Ma i greci, che ci hanno dato Apollo, ci hanno dato anche l'alternativa, il Dioniso di Nietzsche.

Dioniso non è sogno ma ebbrezza; non è vita tenuta a distanza e vista attraverso un velo, ma vita nella sua completezza e immediatezza. (...) Quindi Dioniso non osserva il limite, ma trabocca; la via dell'eccesso per lui conduce al Palazzo della Saggezza; Nietzsche dice che chi soffre di una vita sovrabbondante ha bisogno di un'arte dionisiaca. Così egli non nega più. Questo, dice Nietzsche, è il fondamento della fede dionisiaca. Invece di negare, essa afferma la dialettica unità dei grandi istinti contrari: Dioniso riunisce maschio e femmina, soggetto e oggetto, vita e morte" (La vita contro la morte, Il Saggiatore, 1968, pp. 258-259). E qui comincia l'esperienza del sacro, fra il sogno apollineo e l'ebbrezza dionisiaca, in un dialettico contraddittorio di domande e risposte che interagiscono nell'ambito planetario delle credenze religiose. Alla ricerca di una "spiritualità cumulativa", rinnovantesi sia nella realtà del vivere che nel rivivere la storia come "presente del passato".

La crisi "ideologica" dello storicismo ha rilanciato, implicitamente, la filosofia naturalistica dei Presocratici e il "pensiero negativo" di Nietzsche, soprattutto al riscontro delle "memorie" dell'antichità classica. Pertanto, anche nella dimensione del sacro, si è più propensi, oggi, ad accettare la fondamentale unità dei contrari postulata da Eraclito, anziché promuovere una campagna di sublimazione degli istinti all'insegna del "principio di realtà".

Tutto sommato, Freud ha insegnato qualcosa con le sue "parabole", sebbene qualche secolo prima l'abate Suger (1081-1151) di Saint-Denis omologasse già il "principio di piacere", ovviamente in senso contemplativo, nell'edificare e addobbare l'abbazia più famosa di Francia con preziose opere d'arte, provocando l'indignazione di Bernardo di Chiaravalle che, forse pregustando la propria santità posteriore, voleva rendere visibile dovunque, soprattutto nella "casa di Dio", l'espressione penitenziale del "morire al mondo per vivere in Dio". Ma Suger era un esteta della spiritualità...

Nonostante il Concilio di Nicea, nel 787, decretasse la facoltà di culto delle immagini, interdetta dalla furente opposizione degli iconoclasti, soltanto nel decreto proposto dal cardinale Paleotti e approvato al Concilio di Trento, il 3 dicembre 1563, vengono esplicitamente vietate "tutte le lascivie di una sfacciata bellezza delle sacre figure". Con quale criterio estetico si vedrà in seguito, cioè in piena Controriforma. Senza, tuttavia, dimenticare quanto il "riformatore" Martin Lutero aveva causato, con danni irreparabili al patrimonio artistico, bandendo le immagini sacre dalle sue chiese.

Da allora in avanti graverà sull'arte sacra questa pesante ipoteca destabilizzante la "tradizione del sacro" in linea con l'evoluzione dei tempi.

Se, come asseriva A.N. Whitehead, la religione presenta quattro fattori concomitanti, "rito-emozione-fede-razionalizzazione", lo stesso campo di rappresentazione ne risulta notevolmente dilatato, anziché delimitato sia nelle forme che nei  contenuti. Il problema, semmai, riguarda l'ottica "estetica" della sublimazione, anche della spiritualità visionaria tradotta in immagini, attraverso la personificazione del soggetto nell'oggetto rappresentato, in quanto parabola dei sacro configurantesi nell'esistenziale quotidiano. Infatti, Theodor W. Adorno riscontrava la "sublimazione estetica" chiamando in causa Hegel per definire la libertà di comportamento del soggetto nei confronti dell'oggetto, poiché Hegel "rese onore al soggetto, che nell'esperienza spirituale diviene soggetto attraverso la propria alienazione" (Teoria estetica, Einaudi, 1977, p. 31).

Ovvero ciascuno è libero di pensare nel vedere, alienandosi per sublimarsi esteticamente in ciò che vuoi "ri-conoscere" all'interpretazione, rinnovandosi nella ricerca della "linea simbolica" dell'arte. Ed è questa, forse, la più esemplare parabola del sacro nella contemporaneità, dove ogni immagine può essere esperita e interpretata come "domanda" oppure come "risposta", sia dall'autore che dallo spettatore, a seconda della disposizione "critica" o "contemplativa" assunta di fronte all'opera d'arte. E un"idea di libertà" laicizzata riciclando quell'idea, (simbolica) di bellezza che costituisce l'eredità estetica dell'ormai superato bipolarismo convenzionale fra il sacro e il profano nelle arti figurative.

Un'altra parabola del divino nell'umano: archetipi, simboli, numeri, emblemi, allegorie, personificazioni, non sono altro che il rispecchiamento cifrato o figurale dei miti, delle divinità, degli eroi e dei santi attraverso molteplici modi di "vedere nel sentire", interpretati dall'uomo di tutti i tempi, sia pure variabili dal politeismo al monoteismo delle credenze religiose. L'uomo sempre alla ricerca di se stesso anche nella storia dell'arte, magari per accedere al Palazzo della Saggezza: il terminal delle nostre Grandi Illusioni.


Varga - Sacro-profano

Miklos N. Varga  - contributo tratto da "Dall'arte nella storia alla storia nell'arte" - Unicopli 1987 - novembre 2006
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