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COS'E' L'ARTE

di Miklos N. Varga

Abstract
In questo capitolo...

Varga - cultura


Interroghiamoci allo specchio delle nostre ordinarie illusioni, creativamente. Ragionevolezza e prudenza consiglierebbero il punto interrogativo: cos'è l'arte? Senonché a questa domanda è impossibile rispondere sulla base di un sia pur ipotetico "senso comune" dell'arte. Tutto è, non è, potrebbe essere nel mondo dell'arte, a seconda dei modi di intendere e volere l'arte in rapporto al più complesso mondo reale delle necessità. Complesso sì, ma istituzionalmente ordinato, sia nelle forme che nei contenuti, nonostante i periodi di crisi o di transizione immanenti alle vicende "politiche" del mondo reale.

Ora se qui è possibile, anzi auspicabile, interrogare in un modo o nell'altro la natura politico-culturale dei significati, nel campo dell'arte tutto viene rimesso alla fluidità dell'immaginario che rende presente l'assente: poiché, come ha diagnosticato Herbert Read, "tutte le epoche con un'arte originale hanno infatti riconosciuto un divorzio fra le forme della realtà e le forme dell'arte, che sono le forme dell'immaginazione" (Il significato dell'arte, BMM, 1962, p. 131). Tanto vale, quindi, eludere l'interrogazione dell'/ sull'arte, sapendo di non corrispondere, con ragionevolezza e prudenza, alle imprevedibili reazioni del nostro apparato immaginante.

D'accordo, l'arte viene concepita dall'immaginazione creatrice, ma è anche il "prodotto" di una volontà di comunicazione integralmente perseguita dal vissuto al vivente. Tuttavia l'arte, nel suo manifestarsi arbitrario, intrinseco all'immaginazione, è un'aporia dialettica della visione (del sentire nel vedere): nasconde e rivela ciò che non appartiene alla sfera della necessità per liberare la mente immaginante dalle coercizioni della "ragione pratica". Ma qual è la "ragione" dell'arte? Ecco un altro interrogativo che presiede al binomio espressione-comunicazione di tutte le attività promosse sul campo dell'arte.

Secondo Dino Formaggio: "Nel campo dell'arte, esprimere è più e altro che intuire, comunicare più e altro che esprimere. Quel 'più' sta dalla parte dell'oggetto; dell'oggettività materiale naturale nell'esprimere, dell'oggettività sociale nel comunicare" (Fenomenologia della tecnica artistica, Pratiche ed., 1978, p. 21). Implicitamente, questa è una ragione, ma non è la sola a deliberare "cos'è l'arte" in quanto produzione di forme, materializzata in oggetti, commisurabile alla comunicazione "attraverso" l'espressione.

Però, se "la forma è tutto, il contenuto nulla", per dirla con Schiller, è piuttosto azzardato finalizzare l'arte alla comunicazione; oppure, accettando il compromesso schilleriano inerente alla formatività delle forme, vediamo di accordarci sulla formula "esprimere per comunicare" allo scopo di liberare la fenomenologia dell'espressione dalle operazioni teoretiche della comunicazione.

Intanto cerchiamo di rimuovere i "luoghi comuni" dell'arte all'approccio del vedere più che del sentire. Arte abbordata, arte debordata, arte emarginata, arte smarginata. Complessi d'arte, indotti o dedotti a seconda delle mode ricorrenti. Poi mettiamoci pure l'arte "al vivo", commisurata al nostro autorispecchiamento sensibile, se siamo ancora alla ricerca di una rappresentazione-interpretazione delle idee, dei sentimenti, delle ricorrenze o ricordanze analogiche, contiguamente al "cos'è l'arte". Il presente di un'assenza reale, forse.

L'arte che interroga e risponde, se proprio non corrisponde, alle affabulazioni fisiologiche e filologiche del nostro "senso comune": dell'arte quale alienazione dell'arte stessa, coincidente più con l"oggetto di desiderio" che con il "soggetto desiderante", dimenticando che l'arte produce e ri-produce "oggetti simbolici" spesso indesiderati...

Arte come alienazione, dunque, derivante dalla "in-evidente" fruizione (possesso, scambio, consumo) dell'oggetto d'arte assunto quale soggetto (principio e fine dell"io diviso") di autogratificazione. Quindi arte come feticcio culturale, sembiante del "voler essere" nella cultura del bisogno eterodiretto, senza "saper essere" promotori di un'altra cultura "essente", liberata dalla produzione e ri-produzione delle necessità del mondo reale.

Infatti, quando l'arte è stata demagogicamente socializzata, associata alla contemporaneità dei bisogni reali, è avvenuto quanto era prevedibile all'analisi retrospettiva delle varie epoche storicamente preminenti (Grecia classica, Rinascimento, Manierismo), da Platone a Schiller, cioè prima della divulgazione teoretico-estetizzante dell'arte: la crisi dell'arte come "espressione della crisi", in senso critico-epistemologico, del mondo reale. E questa è la "morte dell'arte", intesa quale mimesi e metamorfosi dell'immaginazione creatrice: luogo tutt'altro che comune del pensare che presiede al fare nella formatività delle forme. Appunto, esprimere per comunicare: "cos'è l'arte".

Forse, eludendo le nominazioni "in-volute" del ricevente (io, tu, egli, noi tutti), "cos'è l'arte" non può interrogare né rispondere, se non nel linguaggio traslato delle nostre aspettazioni rimosse, inconsciamente memorizzate nel tempo, riconducibili alle ragioni primarie della nostra "volontà di espressione".

Ne consegue la comunicazione simbolica, autogestita dalla coscienza critica del fruitore. Forme e contenuti di pensiero pervengono alla "riflessione" del sentire nel vedere: immagini che rendono visibile la fenomenologia invisibile dell'immaginario.

"Cos'è l'arte" diventa così l'assunto di un'ambiguità poetica compresente nella nostra esperienza conoscitiva, anche del sapere latente o dimenticato. Che sia l'emergente aspirazione "estetica" del nostro profondo?

La risposta è in noi, fra la coscienza e la conoscenza dell'essere: questo "nostro" sconosciuto alla ricerca di un eterno presente a regola d'arte in un "luogo" intensamente vissuto. Prima e dopo di noi, sempre.



Miklos N. Varga  - contributo tratto da "Dall'arte nella storia alla storia nell'arte" - Unicopli 1987 - novembre 2006
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