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DE SILENTIO

Piranesi: Arpocrate

Arpocrate di Piranesi

di Massimo Venuti

Abstract
Ecco il punto di vista di un filosofo.

Quale, quale fascino provochi il senso dell’assenza nell’animo umano, è cosa impenetrabile. Da sempre, il mistero di ciò che non è, di ciò che non parla, di ciò che può essere tutto ma non si esprime, è il vero motore immobile dal quale l’uomo, fascinato come dall’acuto sguardo di un serpente, forse velenoso, non riesce a distaccarsi.

Silenziosi sono i processi della vita. L’enorme, silente vagina che Gustave Courbet piazza al centro del quadro L’origine del mondo è l’alfa di tutte le espressioni possibili. In uno dei versi più terrificanti del Testamento, quando “l’Agnello ebbe aperto il settimo sigillo, si fece nell’universo un gran silenzio (Ap. 8, 1)” c’è la fine.

L’alfa e l’omega sono qui, nella stessa dimora dell’assenza. Ma anche “dopo” ci fosse la pienezza, il Dio che tutto consola, la parola sarebbe in ogni caso insufficiente a descrivere: “Non è racconto, non è linguaggio, non è voce che possa essere intesa (Sal. 19). Ben lo sapevano i mistici ebrei, cristiani, musulmani, ben lo sapevano Dante e san Tommaso, ben lo sapevano i musicisti, in primis J. S. Bach, che termina Die Kunst der Fuge al “Contrapunctus” 19 – dedicato al diciannovesimo salmo - che rimane sospeso alla terza battuta, e dopo di lui molti altri, come nelle Szenen aus Goethe’s Faust di R. Schumann, dove Faust rimane ammutolito di fronte all’”Ewigweibliche” che “Zieht uns hinan”, l’Eterno femminino che ci attira in alto, accanto a sé. Di fronte alla fonte silente, Johannes Angelus Silesius ci ricorda che “se tu vuoi pronunciare l’essere dell’eterno, devi prima astenerti del tutto dal parlare” nel Secondo Libro del Pellegrino Cherubico, più tardi richiamato dal misterioso “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”, ultimo aforisma del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein. 

La radice di silentium è “sine”, come quello del nulla è “ne ullus”, “ne ens”, quella negazione che tanto terrorizzava Parmenide, che però è alla base di tutto il pensiero e la filosofia occidentale. Tutto è permesso dal silenzio e nel silenzio: si fabbricano le proprie regole, si forma la propria visione del mondo, pura e incontaminata, a partire dalla quale si  

parla agli altri: è la pagina bianca di Stéphane Mallarmé, sono le tele bianche squarciate di Lucio Fontana. Tutte le società iniziatiche del mondo prevedono il silenzio, da qualche parte.

Il silenzio è l’alfa e l’omega, ma anche l’uscita dal mondo, l’apertura non detta. Essere nel silenzio è in qualche modo essere Dio, o dio, perché nel silenzio si possono fabbricare i mondi a propria immagine e somiglianza. Forse per questo, per ricordare l’umiltà e l’inferiorità dell’uomo, il primo “potere” che il Padre eterno concede ad Adamo è quello di dare nome a tutti gli animali (Gen. 2, 19), ossia di dare significato, di dare regole, classificazioni, gerarchie. Con la parola comincia il mondo, il diavolo, la divisione (fino al caos della Torre di Babele). Il silenzio, invece, è proprio degli dèi: il primo atto è nel silenzio (“In principio Dio creò il cielo e la terra”, Gen. 1, 1) e nel silenzio avverrà la contemplazione del creatore, il settimo giorno. Compiuta l’opera sorrideranno, senza parlare, anche Giove, Brahama, Gilgalmesh. 

Parlare del silenzio, dunque, è un atto tendenzialmente paradossale perché l’oggetto contesta la forma con la quale lo affrontiamo; qualsiasi cosa diremmo sul silenzio sarebbe in ogni caso inadeguato, perché quella entità indicibile sarebbe sempre “oltre” l’espressione. Eppure è la sua fonte. Il “punto”, come ricordava Wassili Kandinsky nella prefazione di Punto, linea, superficie, “è un ponte da un essere a un altro essere” senza il quale nessun significato è possibile. Il punto-silenzio dà ma non appare, permette la vita senza esserla, è la pausa che dà senso alla nota musicale.

Il silenzioso meccanismo che si fabbrica nell’utero de L’origine del mondo, fonte di qualsiasi creatività, è lo stesso silenzioso meccanismo del suo disfacimento, ma è anche il vertice di suoi momenti vitali più profondi.

Il mistero, il silenzio, l’enigma, sono lo stesso: oltre la parola, oltre l’esistenza.

Ecco. “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.

Non è un comandamento morale, non è una proibizione detta da qualcuno per gli inferiori.

E’ una impossibilità.

Massimo Venuti - contributo originale - luglio 2006

Note

Massimo Venuti è docente di Storia della musica

Bibliografia italiana minima

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Sitografia ragionata

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