Menu (Salta il menu e vai al contenuto)


IL RITO E LA MUSICA: UN APPROCCIO AL PROBLEMA

Fontana - uovo

Lucio Fontana - Concetto spaziale - terracotta - 1960-1956

Tesi di Laurea di Giammarco Picuzzi

Abstract
L'autore, nel segno della condivisione della conoscenza, ci mette generosamente a disposizione la sua tesi di laurea.
In essa le numerose articolazioni ci offrono coordinate generali per la comprensione dell'argomento "Musica e riti".
I RITI DI PASSAGGIO.

I riti di passaggio costituiscono quella categoria di riti che segnano il percorso compiuto da un uomo attraverso il ciclo vitale, da una fase a quella successiva, da un ruolo o status sociale a un altro, integrando le esperienze umane e culturali con il destino biologico: nascita, riproduzione e morte. Queste cerimonie determinano le distinzioni fondamentali che sono presenti in tutti i gruppi: tra giovane e vecchio, maschio e femmina, vivo e morto.

La struttura dei riti di passaggio venne articolata chiaramente per la prima volta, agli inizi degli studi antropologici, da Arnold van Gennep. Durante il primo decennio di questo secolo, egli intraprese degli studi che lo collocarono in netto contrasto con le teorie antropologiche di coloro che lo avevano preceduto.

Gli antropologi del diciannovesimo secolo, infatti, erano stati impegnati a tracciare, secondo vari schemi, il progresso dell'umanità attraverso una serie di stadi sociali, ognuno più complesso, più morale e più razionale di quello che lo aveva preceduto. Il principale tipo di testimonianza sulla natura di questi stadi passati consisteva in quei costumi bizzarri e irrazionali che ancora sopravvivevano e che erano stati rinvenuti nelle società sia storiche che contemporanee. Si pensava che tutte le pratiche e le credenze apparentemente irrazionali fossero residui e testimonianze di passate forme sociali.

In questo modo il rituale non era nient'altro che un anacronismo, una testimonianza bizzarra e irrazionale sopravvissuta al lento ma inevitabile processo di razionalizzazione.
Usanze come la finta battaglia presente in certi riti matrimoniali di antica data vennero assunte come prove per elaborate costruzioni che postulavano stadi primitivi di matrimonio basati sulla cattura della futura sposa, i quali derivavano da stadi di matriarcato seguiti dal patriarcato.
Lo studio condotto da Van Gennep nel 1909 propose una valutazione radicalmente diversa del significato e della funzione del comportamento rituale, la quale sovvertiva l'intero progetto dell'evoluzionismo etnocentrico di qul periodo.

Gli elementi del comportamento rituale non erano più residui di epoche precedenti connotate da forte superstizione, bensì rappresentavano delle chiavi per accedere alla logica universale della vita sociale umana; così, ad esempio, le finte battaglie nei rituali matrimoniali venivano viste come rappresentazioni drammatiche della funzione di "separazione" -di cui parleremo fra breve- e non residui di un rozzo passato. 
Egli fu fra i primi studiosi a capire che la struttura che sottostà a un'immensa varietà di comportamenti rituali é in relazione con la funzione sociale del reclutamento e dell'incorporazione di individui che maturano, invecchiano e muoiono in un sistema fisso di ruoli e di status culturalmente definiti.

Tale funzione é resa necessaria dal fatto che la società sopravvive agli individui che la compongono.

a) La liminarità.

La tesi di Van Gennep é che tutti i rituali che implicano un passaggio da uno stato a un altro condividono un'unica struttura tripartitica definita dalla necessaria funzione di separazione da uno stato e di reincorporazione in uno nuovo, con un periodo marginale o liminare nel mezzo.
Van Gennep osservò che ogni individuo, prima di essere reintegrato in un nuovo ruolo o in una nuova condizione, deve essere separato dal ruolo o dalla condizione precedente.
Accanto a queste due fasi della separazione, egli ne individuò anche una di transizione, o liminale.

La sua teoria si basa sull'idea che un'unica distinzione crei due classi e che ognuna di queste dualità implichi una struttura terziaria. 

Graficamente, la sua tesi si può visualizzare in questo modo (1)

    morte         UNA DISTINZIONE          matrimonio
    vivo/morto       DUE CATEGORIE      non sposato/ sposato
vivo/ morente/ morto      TRE STADI    non sposato/ fidanzato/ sposato 

La fase cruciale di questi riti é dunque quella intermedia, liminale o "della soglia", durante la quale l'individuo si trova al di fuori della vita ordinaria e più direttamente esposto al "sacro". Questo é un concetto che é stato ulteriormente approfondito da Victor Turner.

Sessant'anni più tardi, infatti, egli sviluppò le teorie già eccezionalmente ricche e fertili per lo studio dei processi rituali; particolarmente produttive e stimolanti risultano le opere che definiscono il concetto di liminalità. Grazie agli studi di Turner, infatti, il termine "liminalità" ha esteso la sua accezione ben oltre quella originaria di fase rituale intermedia o marginale e ha assunto un nuovo significato: quello di categoria autonoma (e a volte stabile) di persone che sono "tra e in mezzo".

Tutti coloro che vivono ai margini o al di là dei legami e dei codici - poeti, sciamani, buffoni di corte, monaci, "vagabondi del dharma" - costituiscono esseri liminali.
Ma, oltre agli individui, possono essere considerati liminali anche alcuni movimenti sociali, come i culti millenaristici e inoltre alcuni principi sociali, come la matrilateralità all'interno di sistemi patrilineari.

Ma che cosa hanno in comune queste persone o questi principi con i neofiti che si vengono a trovare in una fase liminale di transizione rituale?

A questa domanda Turner risponde che le somiglianze si rivelano in molti modi.

Egli sostiene che in questo stato di transizione i protagonisti si trovano "nello spazio intermedio" dei normali ruoli sociali e molto vicini a una sorta di nucleo trascendente e sacro che ha valore sociale e morale. (2)

Quindi i suddetti individui, dal momento che vivono ai margini delle usuali
categorie, vengono considerati tabù o impuri perché si trovano semplicemente "fuori luogo".

Essi, come i neofiti che partecipano al rito di passaggio, non stanno né qui né là e come i neofiti minacciano le nostre ordinate e consuete concettualizzazioni.

Tuttavia, proprio perché sono fuori luogo, essi sono misteriosi e potenti.

Sempre secondo Turner, un altro elemento caratteristico e universale contrassegna la fase liminale.

Egli osserva che tra i neofiti che si trovano a vivere al di fuori delle norme e delle rigide categorie del sistema sociale emerge un certo sentimento di solidarietà e di unità, e che tale unità o, come la chiama lui communitas, possiede una sua struttura, sebbene i suoi fini siano antistrutturali.

Egli scrive:
Se il nostro modello di società é quello di una struttura di posizioni, dobbiamo considerare il periodo di margine o liminalità come una situazione interstrutturale".(3)

In questo ambito le distinzioni tendono a scomparire, il gruppo é una continuità senza posizioni gerarchiche; gli esseri liminali, come i neofiti nei riti di iniziazione, vengono spogliati di tutto: non hanno più uno status, un ruolo, una dimensione e potrebbero essere simbolicamente rappresentati da una sorta di "tabula rasa" impregnata di pura e indeterminata potenzialità, l'opposto della struttura sociale, che enfatizza invece la differenziazione, la gerarchia e la separazione.

In questa situazione i soggetti liminali si sentono congiunti in un'unità che si colloca al di fuori delle strutture sociali ordinarie e li porta a provare un certo senso di communitas, caratterizzato da sentimenti quali l'uguaglianza, umanità indifferenziata, androginia e umiltà.

Nel suo studio sui simboli (4) Turner scrisse che questo potere trascendente e
trasformativo del liminale appare ritualmente espresso in molti simbolismi caratteristici.

Come vedremo anche nel prossimo capitolo, spesso troviamo "riti di inversione", nei quali il comportamento ordinario viene capovolto: la gente indossa abiti dell'altro sesso e si abbandona a un comportamento orgiastico, il potente può essere umiliato e il debole può sfogare il suo risentimento.

L'esagerato capovolgimento di ruoli e di comportamenti é stato oggetto di studio di molti ricercatori.

Ad esempio, Mary Douglass in Purity and Danger vede questi fenomeni di
inversione come un riflesso della consueta simmetria sociale. Impersonare la donna rappresenterebbe, per l'uomo, una dichiarazione di simmetria che riecheggia il fondamentale principio sociale (che é strutturale nelle diverse società) per cui lo scambio delle donne tra due gruppi deve articolare i rapporti di simmetria e di uguaglianza tra i due gruppi medesimi.

Mircea Eliade, in Rites and Symbols of Initiations, sostiene che la dinamica dei riti di passaggio fornisce un mezzo attraverso il quale i partecipanti possono raggiungere la perfezione religiosa in quanto, come già sottolineato in precedenza, più vicini "al sacro".

I concetti di maschio e femmina forniscono al consueto ordine sociale una
complementarità strutturale fondamentale, che tuttavia favorisce anche l'invidia fra
uomini e donne.

Ciascuno é infatti affascinato dai peculiari attributi dell'altro. Dal momento che i riti di passaggio sono ricchi di simbolismo sessuale, particolarmente evidente nelle fasi di preparazione alle prove e nell'inversione dei ruoli sessuali, essi concedono al neofita la possibilità di avere esperienza dell'altra sua metà, quella che solitamente rimane repressa.

In questo modo, secondo M. Eliade, il neofita può diventare l'incarnazione della totalità, raggiungendo la perfezione e trascendendo l'irriducibile complementarità quotidiana.

Altri studiosi, fra cui Alice Schlegel e Herbert Barry in The Evolutionary Significance of Adolescent Initiation Cerimonies (in "American Etnologist", 1980), dimostrano che le cerimonie puberali riservate alle fanciulle predominano in quelle società in cui la partecipazione femminile alla produzione di cibo é superiore o più importante rispetto al contributo maschile.

Forse l'esagerato capovolgimento di ruoli e di comportamenti serve tuttavia ad
enfatizzare la bontà delle strutture sociali, alle quali si ritorna con un senso di sollievo dopo il periodo liminale.

In ogni caso, il periodo liminale si colloca "fra e in mezzo" e rappresenta il momento adatto al trionfo di cose anomale e mostruose, a comportamenti invertiti ed estremi, all'estasi, all'abnorme e ai paradossi.

b) La celebrazione di un paradosso.

L'azione reciproca di biologia e cultura costituisce, come vedremo, il centro di tutti i rituali di di passaggio e la lotta fra queste due realtà rappresenta il paradosso esistenziale della natura umana.
In quanto uomini, infatti, noi abitiamo in un mondo equivoco, poiché apparteniamo sia alla natura che alla cultura, come ha messo in evidenza Claude Lévi-Strauss. 

Attraverso i riti di passaggio, però, noi possiamo percepire, formulare e poi riformulare la nostra condizione ambigua di animali e di uomini.
La biologia pone i fondamenti della nostra esperienza di nascita, riproduzione e morte, ma i modi in cui sappiamo manipolare e modificare tali imperativi risultano di fatto infiniti.

Che certi "eventi" fisiologici siano tanto culturali e sociali quanto biologici risulta evidente ogni volta che esaminiamo le ampie e complesse descrizioni dei riti di passaggio delle società tribali.

Qui il messaggio appare chiaro: uomini e donne non sono semplicemente nati, né solamente procreano e muoiono; essi diventano quel che sono attraverso i riti.

Un atto di procreazione di per sé stesso non può creare una sposa: deve essere celebrato un matrimonio. Inoltre, si possono avere spose bambine che non si accoppiano e non procreano (nel senso che possono intercorrere molti anni fra le nozze e la pubertà). 

Talora la fanciulla, per potersi accoppiare, deve essere iniziata alla fertilità dalla sua stessa comunità; la definizione sociale che rende una fanciulla "donna" é fornita dal rituale e non dal solo fatto biologico che la ragazza abbia o non abbia già cominciato ad avere le mestruazioni.

Analogamente, i maschi devono spesso sottostare a determinate condizioni sociali, prima di potersi accoppiare: una caccia fortunata o il taglio del prepuzio possono costituire, per un ragazzo, il lasciapassare per il passaggio all'età adulta.

I riti di passaggio incarnano dunque un paradosso, inevitabile conseguenza della nostra condizione umana. Tale paradosso richiama vigorosamente la nostra attenzione e ci invita a rivelarlo o a ripudiarlo; probrabilmente si tratta dell'enigma più profondo dell'esistenza umana: viviamo le nostre vite sospesi tra i confini della natura e della cultura.

Se questo rimane il paradosso fondamentale, vengono tuttavia rappresentati anche altri paradossi.

Dal momento che i riti di passaggio determinano le distinzioni all'interno di un'esistenza vitale altrimenti uniforme, essi celebrano e facilitano il cambiamento e le fratture di categorie sociali prestabilite, laddove al tempo stesso preservano queste medesime categorie sociali.

Un terzo paradosso é quello che rivela il conflitto esistente tra le nostre aspirazioni e i nostri sforzi tesi al conseguimento di fini individuali, da un lato, e i nostri desideri di ricavare sicurezza e sostentamento dal gruppo sociale al quale apparteniamo, dall'altro.

Nella concreta realtà fisiologica, siamo nati e moriremo completamente soli, unici e separati; ma siamo protagonisti di questi eventi anche come membri di un gruppo che cerca di salvaguardare la continuità dei propri valori e delle poprie concezioni, un gruppo che perciò definisce la nostra nascita, la nostra esistenza e la nostra morte.

Durante la celebrazione di questi riti connessi alle crisi della vita, quindi, la comunità talora imprime sull'iniziato in senso figurato e non (si pensi alle scarificazioni) i suoi scopi: nel fare questo essa proclama, contempla e drammatizza i paradossi dell'esistenza.

La contrapposizione di natura e cultura risulta chiaramente documentata a Bali, per esempio, dove ogni giovane (uomo o donna), prima di potersi sposare, deve sottostare alla cerimonia della limatura dei denti, nella quale i canini, simbolo della componente animale dell'uomo, vengono smussati affinché il sorriso non ricordi più il ringhio di una belva.

Il tema della frattura e della continuità, peraltro, é presente in alcune società africane, nelle quali, come ha descritto Victor Turner, ogni iniziato che si sottopone alle cerimonie maschili di pubertà ingerisce la cenere ottenuta bruciando i prepuzi degli iniziati precedenti, introducendo così nel proprio corpo la vitalità e il potere dei suoi "antenati".

Nell'espressione estrema dell'interdipendenza tra l'individuo e il suo gruppo sociale, l'iniziato viene considerato come una rappresentazione in miniatura della società e si crede che ciò che viene compiuto dall'individuo sull'individuo finisca per modificare anche la collettività.

Così ad esempio i riti di transizione connessi alla regalità di natura divina - nascita, matrimonio, procreazione e morte - sono riti celebrati per la continuità del regno nel suo insieme e in alcune culture il sovrano veniva annualmente ucciso per rinnovare e assicurare la fertilità della terra (come anche l'effigie del dio, del Carnevale o della Morte che in diverse culture venivano sepolte o bruciate pubblicamente per propiziare un buon raccolto, un anno florido, ossia una rinascita dopo la morte.)
(Cfr. per esempio James Frazer, The Golden Bough, capitoli XV-XVIII)

Certi riti di passaggio, inoltre, come quelli che portano a una guarigione, servono spesso anche, direttamente o indirettamente, a risolvere problemi sociali e a perpetuare l'ordine della società, dal momento che non coinvolgono solo la persona indisposta o malata ma l'intera comunità.

Turner scrive:

"L'"io" é spaccato a metà - é qualcosa che, allo stesso tempo, siamo e vediamo, e su cui, inoltre, agiamo come se fosse un altro. Non si tratta, di nuovo, di amare alla follia o di desiderare ardentemente l'io proiettato (come fece Narciso con il suo volto riflesso nello specchio d'acqua) ma di agire sull'io che si é fatto altro in modo da trasformarlo. Sto parlando al singolare; nella pratica abbiamo invece a che fare con fenomeni sociali e plurali.
Il rito e il dramma implicano gli "io", non l'io singolo; d'altra parte, l'insieme degli io in una data comunità o società é spesso considerato, metaforicamente, come un io".
(5)

Se da un lato le società utilizzano i riti di passaggio per trasmettere i loro valori e le loro rappresentazioni agli individui, dall'altro si servono di tali cerimonie per favorire l'insorgere di interrogativi consapevoli: gli individui (come del resto le comunità) vengono condotti ad una profonda indagine ed esplorazione di sé.
In tali riti si "gioca" con le categorie sociali, capovolgendole e sospendendole; i limiti sociali sono distrutti, superati, oscurati; i simboli di identità vengono strappati via e poi di nuovo "indossati". Questo gioco é facilitato dall'uso di specchi, maschere, costumi e così via.

Il paradosso, dunque, si pone al centro dei riti di passaggio.

I paradossi e i conflitti della nostra esistenza di uomini possono provocare grande ansia, poiché propongono difficoltà insuperabili al nostro desiderio di vivere in un mondo logicamente coerente e comprensibile.
Il rito mette a nudo tali paradossi e addirittura li accentua: alzando il livello della tensione si cerca ardentemente la soluzione.
Ma proprio perché questi paradossi non sono risolvibili dal punto di vista conoscitivo e logico, non si può giungere a una soluzione reale.

I legami familiari e la sicurezza che il rito fornisce, tuttavia, ci consentono di sperimentare la loro autenticità e di scoprire in questo modo il nostro fragile destino di uomini.
In questo modo, dunque, i riti di passaggio accentuano l'ansia, ma contemporaneamente - e soprattutto - la alleviano.

segue: Tempo e spazio rituale

Note

copiare note da 1 a 5

Bibliografia

vedi apposito capitolo

Sitografia ragionata

a...presto!

Gianmarco Picuzzi - Tesi di laurea - 1996
Torna in alto

Piede: metadati e informazioni aggiuntive (Salta la navigazione)