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MORTE E MUSICA

Copertina degli atti del Convegno.Copertina degli Atti del Convegno.

di  Rainer Bischof

Abstract
Queste riflessioni, più sulla vita che sulla morte, sono tratte dal Convegno internazionale di studii su MASSONERIA E MUSICA, tenutosi a Palermo nel 1985.
Centro per la Storia della Massoneria
Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Sicilia
Convegno internazionale di studi su MASSONERIA E MUSICA
Palermo, 8-10 novembre 1985


Se ci accingiamo ad occuparci della morte, e se per di più ce ne occupiamo particolarmente come fratelli Liberi Muratori, allora fin dall'inizio incominciano a prospettarsi alcune cose fondamentali, mentre una certa distanza concettuale cede forse a quel turbamento emotivo che come uomini proviamo al cospetto della morte. Possiamo, secondo quanto fa per esempio il nostro grande poeta austriaco Elias Canetti, combattere la morte, rifiutarne la conoscenza, non accettarne l'esistenza. Ma tutti finiscono per trovarsi di fronte a questa problematica decisiva.

Così dicendo, mi situo già nel cuore di quel tema che si chiama morte e che si differenzia in un modo del tutto particolare da ciò che è il morire.
Già il titolo della mia tavola «la morte (Tod) - il morire (ster-ben) cosciente» contiene questa differenziazione, che particolarmente nella lingua tedesca trova anche un chiaro supporto terminologico. Parliamo di endegehen (andare verso la fine), verenden (il finire o il morire proprio di un animale), vergehen(mancare, passare, venir meno); se vogliamo poi esprimere con un'intensità pienamente letteraria il morire di un uomo, diventiamo linguisticamente radicali e parliamo di verrecken (crepare), verenden (finire o morire animalesco), verderben (estinguersi corrompendosi) dei cadaveri, così da manifestare qualcosa di molto particolare già sotto il profilo verbale e cioè quel terribile sconvolgimento interiore di fronte al venir meno della esistenza umana.

Ma noi parliamo ora, per esempio, anche del morire dei boschi, del disgregarsi delle pietre, e con ciò intendiamo effettivamente rivestire con qualità proprie della specie umana quella natura che vediamo di fronte a noi e che per determinati aspetti è un altro nostro io, in modo tale da esprimere la particolarità del nostro intimo scuotimento.

Tutto ciò richiede qualche distinzione concettuale, per giungere a precisare che la morte è un aspetto particolare del morire. Infatti la MORTE, come già si è detto sopra, non è propriamente il MORIRE, bensì morte è una dimensione ben determinata, nella quale è contenuto il morire.

Se ci chiediamo - e questa è la domanda fondamentale - in che modo possiamo differenziare l'uomo e più in particolare delimitare la sua specifica esistenza (Dasein) di uomo di fronte, per esempio, alla pietra, all'albero o all'animale, che ci è legato in una maniera tutta propria a seconda della nostra specifica posizione (si tratti o di un animale domestico o di un animale che in natura ci appare nemico come un serpente), allora ci poniamo precisamente la domanda sulla specificità dell'esistere (Dasein) dell'uomo.

E' una domanda, io penso, più attuale che mai.
Voglio darvi immediatamente una risposta. Da nessuno è stata formulata in maniera più espressiva che da Hegel nella sua Estetica, dove in una sola frase imposta e risolve il problema: «Non si può proprio negare che noi in quanto uomini siamo in modo particolare natura. Digeriamo, dipendiamo da ben precisi fenomeni fisiologici, dobbiamo procurarci il nutrimento, dobbiamo avere un determinato regime di idratazione ecc.».

Orbene dov'è il problema? Il problema sta nel fatto che se noi ci arrestiamo a questo tipo di argomentazione e diciamo che l'esistenza umana è solo esistenza naturale, noi non siamo più assolutamente in grado di stabilire una differenza da ciò che chiamiamo natura nel senso più ampio. E non arriveremmo mai al problema della Morte, tutt'alpiù ci avvicineremmo al problema empiricamente constatabile del semplice Finire (Verenden).

A ciò che noi, Fratelli Liberi Muratori, intendiamo per morte non possiamo arrivare se non attraverso porte secondarie, che noi stessi ci costruiamo nella maniera più conveniente. Allora ci dobbiamo nuovamente chiedere: Se noi siamo natura - ciò che rimane incontestato - che cosa siamo noi in quanto natura? Come una natura particolare? Come una natura di stampo umano? Noi siamo quella natura, che sa di essere natura!
E questo sapere intorno a noi stessi ci eleva alla possibilità, e naturalmente anche al rischio e alla tragicità, dell'esistenza di essere umano.
C'è, a questo proposito, un meraviglioso simbolo egizio, la Sfinge, che per metà si è emancipata dalla natura Prendendo una forma spirituale di impronta umana: da una parte essa è natura e dalla natura non riesce ad uscire, non può distogliersi, dall'altra parte invece ne è venuta fuori innalzandosi su di essa in un modo ben determinato.

Ecco dunque, per tornare ad Hegel, quella frase che suona: «L'uomo è un animale, ma dal momento che sa di esserlo, non è più propriamente soltanto un animale, ma uno spirito consapevole di se stesso».
So che questa affermazione apre problemi su questioni fondamentali, ma non entreremo certo in questo campo. Rivolgiamo soltanto l'attenzione al fatto, che noi attraverso quella consapevolezza, che possediamo come qualità naturale - ma ovviamente non soltanto come qualità naturale - entriamo in un nuovo ambito, in una nuova dimensione, per cui ci distinguiamo dal resto della natura, dove non domina tale consapevolezza, non potendo essa farne in se stessa strumento di mutamenti.

Dice molto bene il Leibniz: guardiamo in uno stagno, pensiamo ad un caos e sappiamo tuttavia solo che questo caos è per natura in sé ordinato. E allora accade quel fatto tragico, per cui l'uomo interviene su questa natura, tanto sulla sua propria quanto sulla natura in generale.

Ed ora, cari Fratelli, concentriamoci sul pensiero della coscienza di sé e applichiamolo al concetto della fine, al concetto della morte. No, non della morte, ma del morire. Si tratta di quella consapevolezza della nostra fine, di quell'anticipato sapere che moriremo e questo morire cosciente è l'ambito, come dicevamo, della morte.

Il morire non è morte, ma è la coscienza di morire. La consapevolezza della mia e della tua morte, o fratello, ci unisce nella nostra simbologia della morte e nella tragicità della nostra morte. Nella morte, nel mio conoscere e nel mio pensare la morte io sono solo. Com'è bello il nostro rituale, quando nel l e nel 2° grado entriamo insieme nel tempio e nel 3° grado entriamo ed usciamo soli. Nella morte noi siamo soli, siamo soli con un fenomeno che portiamo in noi e cioè con la consapevolezza della nostra fine.

Ed ora sorge la domanda: questa morte, questo cosciente morire, questo consapevole morire, è quella terribile tragicità del giungere alla fine oppure tale terribile tragicità ha anche determinate forme di umanità, che portano in sé la morte non piú nel modo così evidente e ci sono del tutto consuete? Qui si tratta del concetto del tempo.

Se noi viviamo senza l'anticipazione di quella fine, senza quel sapere che anticipa quella fine, non potremmo mai avere un concetto di tempo. Il tempo è, nella sostanza, coscienza di eventi passati e futuri, fondata su un determinato e momentaneo punto situazionale. Sant'Agostino ha introdotto una bella distinzione: egli considera il tempo solo come ricordo e come attesa, e tra il ricordo e l'attesa c'è quel momento tragico del turbamento umano nel presente.

Per questo abbiamo nella nostra simbologia del 3°grado un meraviglioso e splendido, nel piú pieno senso del termine splendido, simbolo: la clessidra! Quello scorrere del tempo, quel rendersi conto dello scorrere del tempo, quel non potere arrestare, quell'anticipazione della fine nell'orologio che ha compiuto il suo corso!

Sappiamo di morire ed immettiamo nella nostra vita questa consapevolezza.
Posso ora affermare di aver constatato che, in tutte le sue acquisizioni culturali, la musica, di per sé stessa, è un'arte della morte, poiché un brano musicale non incomincia mai in un modo qualunque e non termina mai in un modo qualunque, ma ha inizio in un modo ben determinato e termina in un modo ben determinato.

Ogni musicista sa che le vere difficoltà di una composizione sono l'inizio e la fine. La musica, attraverso la percezione dell'estensione nel tempo, è consapevolezza della fine. Ciò significa che la musica come «arte del tempo» è arte della morte; qui sta la sua inconfondibile efficacia nell'accedere direttamente alla sfera dei sentimenti umani. La coscienza anticipatrice della fine, la coscienza che un brano musicale cesserà di risuonare, rende possibile assistere, lungo lo scorrere del tempo musicale, ad un vero e proprio avvenimento concreto. Accade qualcosa durante questo tempo, qualcosa è raccontato durante questo tempo, e ciò che è raccontato sopravvive in un altro tempo: nel ricordo e, dunque, al di là di quanto è effettivamente accaduto.

Con ciò la musica dimostra di non essere soltanto arte della morte, ma di aprirsi con le sue proprietà ad uno spazio nuovo, lo spazio dell'infinito e dell'eterno. La musica, in virtù del fatto che si estende nel tempo, è un rispecchiamento della vita che ha tutti i caratteri dell'evento.
Nessun compositore si attaglia a questo concetto quanto Mozart.

Per poter comprendere effettivamente Mozart bisogna prendere in attenta considerazione la sua prima sinfonia, scritta all'età di otto anni. Mozart nel secondo tempo di questa sinfonia coglie in una vera e propria dimensione cosmica l'evento del mondo.
Per poter esprimere una tale dimensione cosmica occorre normalmente una vita ricca di esperienze e provata dai colpi del destino.
Che un bambino abbia potuto tanto, può essere la spiegazione del genio di Mozart.
Tutt'altro che infantile, bensì proprio di un genio,è la consapevolezza del finire, cioè la consapevolezza della morte.

Noi vi siamo completamente dentro, ma abbiamo tuttavia la possibilità, nella nostra capacità di trascendimento, di continuare a portare in noi la fine e l'inizio, dunque di aver coscientemente in noi stessi quella morte, quel saper di finire e di aver avuto un inizio, che ci accompagnano ovunque. Credo che proprio in ciò si nasconda uno dei più grandi misteri della Libera Muratoria.


Note

Rainer Bischof è laureato in filosofia; ha studiato composizione presso l'Accademia di Musica ed Arte Drammatica di Vienna; dal 1978 è membro del Comitato Direttivo dell'Associazione «Wien Konzerthaus». Autore di varie composizioni musicali.

Bibliografia

Gli Atti del Convegno sono editi dalla SOCIETA' EDITRICE ERASMO - Roma - 1988

Sitografia ragionata

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Rainer Bischof - contributo al Convegno  di Palermo - maggio 1983
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