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Zona didattica

CULTURA MUSCALE GENERALE:
scrittura “perché” e “per chi”?

di Carlo Marenco

Carlo Marenco
espone le sue sensatissime opinioni riguardo la "nostra" materia, con un occhio particolare alla scrittura. E' l'autore del "Manuale di armonia" che adotto da anni.

Le carenze del corso di cultura musicale generale, in un’epoca di profondi rinnovamenti come la nostra, sono ormai da tempo note e sotto gli occhi di tutti, almeno dei più avveduti.

Le ragioni possono essenzialmente ricondursi a due motivi di fondo: la presenza da un lato di programmi decisamente superati risalenti agli anni Trenta del Novecento e lo scarso interesse nei confronti della materia dimostrato in primo luogo dagli stessi docenti, il più delle volte dei compositori in tutt’altre faccende affaccendati.

Circa i programmi è altrettanto risaputo che essi prevedono per il corso biennale la realizzazione di un basso senza numeri, una modulazione ai toni lontani scritta o improvvisata al pianoforte e una prova orale suddivisa tra conoscenze elementari della teoria armonico-tonale e delle forme ed una breve analisi, pure essa estemporanea, di un Allegro di sonata.

Salvo casi eccezionali, all’atto pratico poi, il tutto si riduce

a) ad un basso svolto più con la preoccupazione di non far quinte e ottave piuttosto che con l’intento di creare delle successioni armoniche coerenti e soprattutto una linea-guida melodicamente accettabile;

b) ad una modulazione spesso sgradevole, già di per sé delegittimata dal fatto che nella prassi compositiva “modulare” non è mai un’operazione fine a se stessa ma la conseguenza di una specifica necessità d’ordine formale;

c) ad una prova orale ridotta a quattro striminzite formulette di rito (le specie delle settime, la forma-sonata bitematica e tripartita, la fuga con il suo soggetto, la risposta reale o tonale), affiancate, quel che è ancor peggio, da un’analisi, in teoria a “prima vista”, del primo tempo d’una sonata di Beethoven, un’autentica esibizione d’incompetenza didattica, aggiungiamo, in quanto in primis l’analisi musicale è un esercizio che richiede tempo e riflessione, e in secundis perché si dimentica con troppa facilità che le sonate di Beethoven, per il loro carattere sperimentale e pionieristico, presentano problematiche tali da mettere a dura prova gli stessi addetti ai lavori, figuriamoci un semplice allievo per di più costretto a decifrarle in pochi minuti.

Davanti a questo quadro poco incoraggiante che fare?

Cercar, ovviamente, di salvare capra e cavoli mantenendo la forma e cambiando i contenuti. Si prenda ad esempio la prova del basso. Come quella della modulazione anch’essa, si sa, è una pura invenzione scolastica, anche se, a differenza dell’altra, trova vagamente riscontro nella prassi sei-settecentesca del basso continuo.

È soprattutto qui che molti docenti di armonia complementare amano lanciarsi a capo fitto per tentar di esorcizzare le proprie frustrazioni professionali. Il tutto senza tener conto del fatto che una realizzazione qualitativamente discreta e soddisfacente presuppone in chi la svolge quegli stessi requisiti (musicalità, intuito, attitudine alla scrittura) richiesti agli allievi dei corsi di composizione in cui questa pratica ha una sua ragion d’essere.

Costringere invece dei poveri strumentisti a questo tipo d’esercizio rappresenta, di contro, un inutile dispendio d’energie, dal momento che se è vero che un 20 per cento della classe ne potrà trarre giovamento, è altrettanto vero che il rimanente 80 per cento cercherà di sopravvivere trascinandosi a fatica da un accordo all’altro per sfornare infine continui aborti musicali.

Eppure, se predisposto in maniera appropriata, anche nell’ambito del corso di cultura musicale generale la famigerata prova del basso può rivelarsi di una certa utilità. Il segreto sta semplicemente nel considerarlo non il fine ma un mezzo.
Un mezzo per apprendere nel vivo della pratica piuttosto che nell’astrazione della teoria i fondamenti della tonalità, i suoi meccanismi attrattivi, i singoli materiali, le nozioni di base della condotta delle parti e via dicendo.
Un mezzo, ancora, attraverso cui sviluppare la mente e l’occhio interiore in vista di quello che dovrebbe essere il vero obiettivo del corso, l’analisi musicale.

Pertanto, dismessa ogni velleità di tipo “creativo”, “artistico” e quant’altro, sarà sufficiente concentrare l’attenzione dell’allievo su poche regole comportamentali concernenti i principi armonico-cadenzali, il moto delle parti (strette) e soprattutto la scelta degli accordi che meglio favoriscono lo sviluppo lineare del soprano, visto e considerato che la stessa letteratura musicale c’insegna che ad ogni figura melodica del basso tende solitamente a corrispondere una particolare stringa armonica, a sua volta generatrice di un dato percorso della parte soprana.

Determinante sotto questo aspetto è la qualità e la natura del basso, il cui sviluppo armonico-lineare è già stato preventivamente soppesato dall’autore. Deplorevole è, per converso, l’abitudine di molti insegnanti di proporre materiali confezionati sulla base dei soli criteri armonico-attrattivi, materiali che inevitabilmente mettono a disagio l’allievo medio il quale invano tenterà di far uscire il soprano dalla maglia stretta di quelle solite tre o quattro note attorno alle quali sarà destinato a contorcersi noiosamente per tutta la durata dell’esercizio.

Ecco allora che, così riveduto, anche il basso del corso d’armonia complementare potrà finalmente insegnare qualcosa, facendo allo stesso tempo contenti un po’ tutti, allievi, programmi e magari anche quei non molti insegnanti che credono ancora nella materia.
La qual cosa non esclude poi la possibilità, nel triennio sperimentale, di riprendere questo tipo d’esercitazione limitatamente al basso numerato che anche in questa forma manterrà ugualmente la sua utilità didattica, abbandonando al contempo il tradizionale ruolo di primadonna a favore di altri “co-protagonisti” della formazione del giovane musicista in prevalenza individuabili in area analitica (analisi armonico-tonale, modale, post-tonale, formale a vari livelli).

Ma questo è un altro discorso. Non vorremmo, invece, che questi programmi costituissero, per i fautori della scrittura, l’ennesimo pretesto per rincarare la dose e sottoporre i malcapitati frequentatori dei nuovi corsi ad ulteriori tour de force compositivi come ad esempio il basso imitato, il canto dato e, perché no, il contrappunto fiorito a due-tre-quattro voci sino ad approdare magari, in una sorta di delirium tremens, alla fuga a due voci.

Per fortuna, in questo caso, l’autonomia didattica potrà scongiurare questi ed altri pericoli e lasciare così decidere all’allievo di che morte morire.

Note

Carlo Marenco, mantovano, insegna Cultura Musicale generale al Conservatorio di Ferrara, ed è l'autore del validissimo  MANUALE DI ARMONIA  pubblicato da Rugginenti nel 1999


Carlo Marenco - contributo originale - ottobre 2006
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