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COSA INTENDO PER CULTURA

Hortus conclusus

di Joanne Maria Pini

Abstract
Alle radici etimologiche, ma anche ad altre, di radici...
Cos'è "cultura"?

La definizioni che troviamo nei dizionari non possono che essere generiche.
Il termine deriva dal latino "cultus", culto, participio passato di colere [coltivare] e la prima apparizione del termine è del XIII secolo, mentre quella di "coltura" è del XV.

Il senso primigenio - noi come un campo coltivato - connota una attività continuativa, da praticare con cura, e rende l'idea di frutti che si generano da semi, opportunamente posti a dimora, i quali produrranno altri semi, rende l'idea di nutrimento per l'anima, rende l'idea di "varietà", ma anche quella del "tramandare" e quindi di Tradizione, il tutto come fatto sia dell'individuo che della mente collettiva.

Rende l'idea di necessarie radici, rende l'idea di una molteplicità di necessità e di fattori: la terra, l'acqua, l'aria il fuoco [il sole], gli "elementi" del Mondo Antico, ma rende anche l'idea di malepiante da estirpare [il Controeducare].

Perché mi diffondo in queste immagini "bucoliche"?

Perché l'uomo di oggi, quello occidentale perlomeno, ha perduto il senso di appartenenza al Creato, le metafore cui fa riferimento nel costruire sé stesso hanno sempre più riferimento e rapporti con l'artefatto tecnologico sic et simpliciter.

Il precetto della tomistica "Quidquid recipitur, ad modum recipentis recipitur" rende evidente la necessità di ri-creare un certo "terreno", di offrire bussole per ri-trovare la natura umana più vera e per permettere una navigazione sicura in un mondo intessuto ormai solo di "informazione" che non sa più diventare "Conoscenza" nella mente dei più. [E Conoscenza non è solo erudizione]

Intendiamoci, per certi versi è sempre stato così, la Cultura è sempre stato un fatto élitario, ma un certo "terreno" di base "culturale" ha sempre connesso il Microcosmo [dell'Uomo] al Macrocosmo, in questo terreno ha sempre avuto, ad esempio, un posto centrale l'idea della Morte, rimossa da questo mondo del "pensiero unico economico" e del "consumismo", resa asettica, a render l'idea non solo di un fine, ma anche di una gerarchia di valori cui riferirsi.

L'asse di questi valori si è pesantemente spostato [a partire per noi, figli dell'Occidente] dal secolo cosiddetto "dei Lumi" di cui questo mondo è figlio, mostrando crepe preoccupanti, burroni anzi, e voragini, e oscure, tali che la nostra stessa specie risulterebbe ora persino in pericolo. 

Dopo di noi un mondo senza memoria [che ne sarà, coi supporti digitali?] abitato da blatte?

"La natura non si comanda che obbedendole"

sosteneva ancora Bacone, nel 1600, che era il sì primo degli scienziati ma anche l'ultimo dei "maghi", mentre oggi la credenza comune e diffusa è che la salvezza risieda nella "tecnologia", nella "tecnica", veri miti fondanti della "modernità", il che equivale a sostenere che un cancro possa curare sé stesso.

Bisogna quindi rivolgere la nostra attenzione al concetto di "Modernità" per poi volgerlo a quello di "Antimodernità" ed elaborare - per fermarci al nostro, di orticello, le possibilità di implementazione nel mondo della scuola.

Bisogna cambiare noi stessi per poter cambiare il mondo, concetto sì, buddhistico, ma anche universale.

Necessita un "hortus conclusus", initlabor serve anche a questo.



Joanne Maria Pini - contributo originale - ottobre 2006
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